lunedì 23 novembre 2015

Come le radici del mandorlo Presentazione del volume di Tommaso Romano su Elio Corrao

di Ciro Lomonte

Comincio subito con l’ammettere la fastidiosa sensazione di imbarazzo che provo in questo momento. Non so perché il prof. Romano abbia insistito tanto affinché fossi proprio io, oggi, a presentare il suo libro sul prof. Elio Corrao[1]. Il ricco curriculum di entrambe le personalità palermitane meriterebbe ben altra presentazione.
Forse il motivo è che il prof. Romano stima la rivista on line Il Covile, di cui sono redattore, nella quale l’arte contemporanea è trattata ampiamente. Oppure che conosce il mio impegno per una rinascita delle arti, nel mio lavoro professionale di architetto e nell’attività didattica presso la Monreale School of Arts & Crafts – che abbiamo costituito di recente – e il Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia di Roma.
Non sono assolutamente adeguato al compito che mi è stato affidato. Molto meglio guardare direttamente alle opere del Maestro Corrao e leggere il libro. C’è però nel testo di Tommaso Romano un riferimento, quello sulle cosiddette arti minori, che mi può aiutare a non fare scena muta.
La creazione di ceramiche, nella quale Corrao si è distinto, è arte maggiore o arte minore? Dieci giorni fa osservavo con ammirazione il giovane scultore Mauro Gelardi montare su un ambone di marmo la sua ultima opera, una sontuosa aquila di bronzo. L’artista vero è artigiano, domina la materia. E allo stesso tempo ne è soggiogato, la ama appassionatamente, obbedisce alle sue regole interne, non le impone elucubrazioni cerebrali (anche perché la materia si ribella, non si può piegare alle teorie estranee alla natura delle cose). In me ha prodotto molta gioia osservare mese per mese come nasceva la scultura. Ma contemplare uno scultore impegnato a completare la collocazione di una sua opera con in mano trapano, pinze, silicone, è stata un’esperienza liberatoria! Un riconciliarsi con la realtà più genuina dell’arte. Che non è più definibile minore. Casomai possiamo chiamarla arte applicata. Ed è il magistrale esercizio di una virtù dell’intelletto pratico al servizio dei clienti.
Di tutto questo la CIA ha cercato di privarci. Sì, proprio la CIA, come dimostra il libro della Saunders[2]All’indomani di due decenni di fascismo e di una guerra mondiale, gran parte degli intellettuali europei aveva abbracciato posizioni anticapitaliste. Per contrastare il richiamo del comunismo e la crescita del peso elettorale dei partiti di sinistra, la CIA non risparmiò né uomini né mezzi finanziari, dando il via a un’imponente campagna occulta che fece di alcuni fra i più illustri esponenti della libertà intellettuale dell’Occidente meri strumenti del governo americano. Grazie a documenti recentemente desecretati e interviste esclusive, l’autrice fornisce la prova di una vera e propria “battaglia per la conquista delle menti” ingaggiata dalla CIA al fine di orientare la vita culturale dell’Occidente attraverso iniziative ambiziosissime: congressi, conferenze internazionali, festival musicali. Ne furono un esempio le numerose mostre dedicate all’espressionismo astratto americano: per un decennio i vari Pollock, Gorky, Motherwell diventarono le vedettes delle gallerie europee. E generosi furono i finanziamenti che, tramite le sue “istituzioni”, la Cia elargì al settore dell’alta cultura, in cui si collocavano le riviste che ospitavano il dibattito politico e culturale (fra esse “Tempo Presente”, diretta da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte). L’edizione italiana del 2007 (quella statunitense è del 2000) è arricchita da un’appendice di documenti relativi ai legami specifici tra l’agenzia governativa statunitense e gli intellettuali nostrani.
La Cia finanziò abbondantemente l’espressionismo astratto. Obiettivo dell’intelligence Usa era quello di sedurre le menti degli elettori di sinistra negli anni della Guerra Fredda. Fu proprio la Cia a organizzare le prime grandi mostre del “new american painting”, che rivelò le opere dell’espressionismo astratto in tutte le principali città europee: “Masterpieces of the Twentieth Century” (1952) e “Modern art in the United States” (1955).
In che misura il veleno con cui sono state irrigate le nostre radici ha causato la volgarità, la barbarie, il dilagare del brutto in tutte le manifestazioni della nostra vita quotidiana? Guardate la Palermo odierna e confrontatela con quella che era fino alla prima metà dell’Ottocento. È vero, anche la Palermo del floreale ha edifici stupendi e una certa qualità diffusa è stata presente sino alla metà del Novecento, ma il Piano Giarruso ne stava sfigurando irrimediabilmente il volto. Il Piano Regolatore del 1962 avrebbe dato il colpo di grazia. Com’è possibile che in una terra come quella italiana, che ha prodotto capolavori per millenni, il gusto si sia corrotto a tal punto?
Diceva Gregorio Magno, in qualche modo legato alla Sicilia: Corruptio optimi pessima. Chi sta molto in alto quando cade fa un tonfo più clamoroso. Consideriamo la ritrosia che c’è nelle Accademie di Belle Arti italiane attuali ad insegnare il figurativo. Persino i docenti di anatomia si inventano esercitazioni sulle idee più astruse e sulla trasgressione. Sono capriole intellettualistiche fini a sé stesse. Eppure le ricerche più avanzate dell’arte contemporanea sembrano andare proprio nella direzione della rappresentazione del corpo umano. A Barcellona, per esempio, è stato aperto il MEAMMuseu Europeu d’Art Modern, con una esposizione permanente di arte contemporanea figurativa. Uno dei segni dell’inversione di tendenza in corso.
Come scriveva Albano Rossi: «Non si può certo dire che Elio Corrao si sia fatto stregare da Pollock, né da Rauschenberg, da Vasarely, o da Burri. La ceramica non ha bisogno di fanatici, di scimmiottatori, di farisei, ma di artefici geniali ed accorti»[3].
Potremmo dire che l’opera del prof. Corrao ci conduce per mano fino a quel bisnonno pittore, Onofrio Tomaselli (1866 – 1956), autore della straordinaria tela del 1905 su I Carusi, i ragazzi delle miniere di zolfo. E ad un altro parente, Armando Tomaselli, scultore e architetto, di cui Tommaso Romano lamenta l’ingiusto confinamento nell’oblio. Corrao è il testimone di una forma di continuità, che ci riporta alle radici della creatività siciliana.
Non si tratta di tirar fuori gli abusati concetti di insularità d’animo, sicilitudine e altro ancora. Ci tocca invece il compito gratificante di riscoprire la nostra identità artistica, la nostra specificità, unica nel suo genere.
La Sicilia oggi è come un bellissimo albero, spezzato dalla furia degli elementi, da tempeste violente e inconsuete rispetto alla sua storia plurimillenaria. Le manca la chioma rigogliosa che la coronava in altre epoche. Ci diranno che i siciliani in realtà non esistono, che quelle fronde e quel fogliame erano di altri popoli, quelli che ci hanno conquistato e dominato. Ma non è vero.
La civiltà di Palermo, la civiltà degli innumerevoli bellissimi centri urbani della Sicilia, è come il mandorlo. Questa specie arborea (il prunus dulcis) è antichissima. Alcuni dicono che sia autoctona, altri importata dai fenici. Produce un seme prelibato, migliore di quello californiano, ottimo per la pasta reale, per i confetti, per il latte di mandorla e per altro. Vi si possono innestare ciliegio, pesco, albicocco e susino.
Le civiltà giunte da fuori sono proprio questo, almeno nel campo artistico: sono innesti che hanno prodotto frutti unici e saporiti perché il portainnesto era il nostro, quello della mente riflessiva, dell’occhio sognatore, della mano meticolosa e irrequieta dei nostri artigiani. È vero che è giunto più di un gene artistico dall’esterno (greci, romani, bizantini, persiani, normanni, catalani, aragonesi), ma ciascuno di essi ha subito modifiche sostanziali, perché il genotipo – nell’interazione con il nuovo ambiente dell’Isola – ha modificato il suo fenotipo. Sono i geni che forniscono le caratteristiche essenziali, la nostra terra e il nostro sole fanno la differenza.
La pianta è viva, anche se hanno fatto di tutto per sradicarla. Il mandorlo è vivo. Forse è giunto il momento di smetterla con l’introduzione di nuove varietà, come succede nella frutticoltura[4]. Forse sta per scoccare l’ora in cui comincerà a produrre arte siciliana sic et simpliciter, senza altre aggettivazioni. Ringraziamo Elio Corrao per averci spinto in questa direzione con il suo mezzo secolo di creazioni.




[1] Tommaso RomanoElio Corrao, Fondazione Thule Cultura, Palermo 2015.
[2] Frances Stonor SaundersGli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale, Fazi, Roma 2007.
[3] Albano RossiLe ceramiche di Elio Corrao, citato in Tommaso RomanoElio Corrao, Fondazione Thule Cultura, Palermo 2015, p. 9.
[4] Debbo queste precisazioni all’amico agronomo Placido Volo, PhD.

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