mercoledì 27 settembre 2017

Pubblichiamo, la motivazione del Premio "Francesco Carbone - Experimenta 2017", assegnato a Tommaso Romano

GIURIA DEL PREMIO

Vincenzo Viscardi 
Presidente dell’Istituzione Francesco Carbone
Aldo Gerbino 
Critico letterario e d’arte contemporanea
Francesco Marcello Scorsone
Presidente dell’Associazione Studio 71
Vinny Scorsone 
Storico e critico d’arte





L’impegno e la tenacia nella scrittura, la sperimentazione costante condotta sul piano d’una lingua pur sempre mantenuta al suo livello di classicità, fanno del lavoro intellettuale di Tommaso Romano, un prodotto multi- direzionale, ma soprattutto vigile sul versante della ricerca poetica. Un necessario impegno mo­rale, il suo, già nel governo editoriale di ‘Thule’, percorso e intessuto dall’impe­gno saggistico esposto sulla pedana delimitata da un orizzonte sempre più pros­simo all’attualità dei pressanti rilievi esistenziali. E se dallo scollamento delle culture e del loro avanzamento verso la sintesi di quelle istanze e contraddizioni insite nel terzo millennio, Tommaso Romano sintetizza, così come nel Nel buio aspettando l’alba speranza che non muore, la sua fiducia indiscussa nell’uomo, nella valenza spirituale in cui la parola è segno ineludibile di fermezza, apertura verso il futuro.

martedì 26 settembre 2017

Tommaso Romano, "Miniature per l'Arca" (Ed. CO.S.MOS)

di Sandra V. Guddo

Un nuovo tassello va ad arricchire il mosaico della narrazione di Tommaso Romano che con questa operazione culturale, espressa in “ Miniature per l’Arca “, conferma la sua Incontenibile Versatilità, che ho tracciato, in parte, nel volumetto omonimo.
Si tratta di una narrazione lineare che si basa sui due pilastri che l’Autore ritiene fondamentali per chi non vuole piegarsi al disimpegno, al generico, all’anonimato, al divenire del nulla, che sembrano dominare nella società globalizzata.
Non è difficile intuire che i due pilastri a cui mi riferisco sono la Cultura e la Memoria: un binomio inscindibile! Non ci sarebbe cultura degna di essere tramandata senza la conservazione della memoria di quanti, pur in piccola parte, hanno contribuito con le loro opere alla sua costruzione. Più volte infatti Tommaso Romano ha esortato a non bruciare le carte ma a preservarle dall’abbandono e dall’oblio.
Non è certamente un caso che, insieme a tanti altri nomi eccellenti, Egli citi, nella stessa sezione” Graphie ”  Zygmunt Bauman  ( 1925-2017) e Antonino Buttitta  ( 1933-2017).
Il primo, “   geniale, seppur discutibile e controverso, analista sociale ”( pag.135 ), nei suoi numerosi scritti, ha operato una minuziosa disamina della società postmoderna, da lui definita liquida in contrapposizione alla tramontata società che appariva solida in quanto costruita su valori fondamentali per lo stesso genere umano, responsabile del suo operato. Il sociologo polacco ha approfondito il concetto di Cultura che da patrimonio personale e collettivo si è disperso, nella società globalizzata, impoverendosi e disperdendosi nei rivoli della volgarità e del nulla, generando la Bulimia del Consumismo.
Antonino Buttitta  ” Maestro di antropologia e umanista del nostro tempo, libero come pochi ” (pag.132 ) ha insegnato e ribadito, fino all’ultimo dei suoi giorni, il valore della memoria senza la quale un popolo non è più libero, privato della consapevolezza del proprio passato. Così scrive nella introduzione al libro di Vito Mauro, Continuum,” Aristotele ha scritto che la memoria è negata agli schiavi. Apprezzo Romano soprattutto perché, in quanto cultore del passato, vuole restituirci la memoria che il presente ci nega  ”.
Un binomio perfetto di cui, ovviamente, molti altri intellettuali si sono interessati.
 Da qui nasce l’esigenza di Tommaso Romano di ribadire i suoi valori e il suo   impegno a cesellare miniature di persone, divenute personaggi, che si sono distinte dalla greppia con il loro operato affinché la loro memoria venga salvaguardata e custodita in quell’Arca ideale, “ben piantata in terra o vagante nell’acqua. “  In essa  “ troveranno posto uomini, donne, animali, frutti e carte da non bruciare, immagini, suoni, elementi che realmente contano e sono indispensabili per erigere le difese e sostenere le architravi, le merlature, in rettangoli di volontario ammutinamento, in uno spazio per poco o nulla violabile, cioè, riservato all’armonia, alla pratica della temperanza, all’umano, insomma”. ( pag. 6 ).
Miniature per l’Arca comprende quattro sezioni, una delle quali “Graphie” è appunto dedicata a chi è scomparso; esse sono precedute da alcune fondamentali riflessioni del suo Autore che possono fornire una chiara chiave di lettura del testo in cui è possibile rinvenire una malinconica ammarezza per la situazione attuale della società, stantibus rebus, definita civile. Al contempo emerge la reazione consapevole di chi si attrezza per non annegare tra i flutti del nulla e prepara l’Arca della salvezza per sé e per chi ne sia ritenuto degno. Gli operatori della cultura, ognuno secondo il proprio talento, sono presentati nel testo come cesellate miniature, destinate a durare nel tempo, si spera, non soltanto quello terreno.
Francesco di Franco, in una sua estemporanea dichiarazione, ha affermato che” Ricordarsi e riportare in auge chi non c’è, è il modo più bello di continuare la sua attività, l’uomo è quel che fa, e quando la generosità e l’amore per la cultura inducono a riconsegnare lo spirito, è un gesto di grande onore  ” .
E con tale gesto l’Autore fa rivivere, nelle pagine della sua opera, personaggi talentuosi come l’indimenticato Renato Guttuso mentre, poco più avanti, consegna ai posteri il talento artistico di Sebastiano Caracozzo.
Contestualmente, viene raccontata, per grandi linee, l’ascesa ed il declino della monarchia sabauda e del mondo anche valoriale di cui era intrisa, con le sue luci ed ombre.  L’autore se, per un verso, conferma la sua approvazione per l’operato di Vittorio Amedeo di Savoia che regnò in Sicilia dal 1713 al 1720, iniziando alcune riforme di straordinaria importanza nel tentativo di portare l’isola fuori dalle condizioni di arretratezza e di lassismo in cui versava, dall’altro , mitiga la sua condanna all’operato del Regno dei Savoia, durante il processo di unificazione dell’Italia. La visione della conquista della Sicilia, magistralmente raccontata da Tommaso Romano nella sua opera Sicilia 1860 – 1870 – Una storia da riscrivere, Ed. ISSPE ( 2011), appare meno traumatica, sotto la spinta, probabilmente, di un rinnovato desiderio di conciliazione, maturato dall’ autore nel corso di questi ultimi anni.
Tommaso Romano si sofferma ad analizzare la Prima Guerra Mondiale che, aldilà di qualsiasi altra considerazione, fu un vero massacro in cui persero la vita migliaia di giovani, come mette ben in evidenza lo storico revisionista Oscar Sanguineti “ ( … ) A prostrare l’Occidente non è solo la scomparsa di milioni di giovani e di padri di famiglia non è solo l’immenso dispendio di risorse materiali, ma anche l’imprint profondo lasciato nella memoria, nel senso identitario, nelle strutture sociali, nonché, infine nel giudizio disincantato sui reggitori dei popoli che hanno mandato a morire legioni di uomini, imberbi e maturi, ricchi e poveri, fanatici e indifferentiper vantaggi concreti del tutto meschini ( … ) presto svaniti e spesso ottenibile per via diplomatica.
E’ chiaro l’appello che Tommaso Romano rivolge a tutti i reggitori dei popoli di evitare, in ogni modo, i conflitti e qualsiasi escalation di violenza; ciò non certo per buonismo a buon mercato!
Tutta l’astronave della narrazione, sia che tratti temi che intrecciano arte e religione o che presentino, più spiccatamente, un carattere storico -politico, procede con toni pacati che invitano alla riflessione il lettore che potrebbe anche non condividere in toto le sue dissertazioni. Poco importa! il valore di un libro non si giudica dal suo proselitismo, semmai da quante coscienze riesca ad indurre al dialogo aperto, condotto con i toni della libera espressione sul terreno di un sereno confronto.
 Ma, a mio avviso, ciò che aleggia e vagheggia sull’ intero libro, è lo sguardo appassionato di un uomo innamorato della sua città, della sua terra e della cultura che ha saputo esprimere, attraverso i suoi figli, il meglio di sé. Senza voler fare torto a nessuno, avere citato gli studi di Carmelo Fucarino o di Calogera Schirò e di Giulia Sommariva, o, ancora di Francesco Cangialosi, oppure, il costante contributo della famiglia Notabartolo, rende palese l’impegno civile di Tommaso Romano.
Il suo sguardo attento mitiga l’asprezza con cui noi siciliani, delusi per decenni da una gestione politica ed amministrativa assai carente, siamo propensi a svalutare ciò che ci appartiene di diritto: la nostra terra, il nostro mare, il nostro litorale.
Ecco allora che si fa avanti il nostro Autore che tende a gettare una nuova luce : “Basta allora con il nichilismo distruttore di coscienze, che annichilisce pure i giovani, li fa troppo politicamente corretti; basta con il pianto incapacitante, ( … ) Segnali, anche notevoli, di riconquista identitaria, di luoghi e di spazi, di momenti e di storia ci sono, negarli è negarci, ancora una volta, di esserci, per partito preso.

Infine, dopo la lettura di Miniature per l’Arca, mi rendo conto che l’indiscussa protagonista è ancora una volta la Bellezza.

giovedì 21 settembre 2017

Tommaso Romano, "Nel mio Regno dei Cieli" (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

di Lucio Zinna

Intenso poemetto di Tommaso Romano, neo-umanista panormita di ampi interessi e vasta produzione, a cui si devono in particolare, a far data dal 1969, diverse e apprezzate opere di poesia. In questo singolare lavoro (davvero fuori cliché), edito in 99 copie numerate, il poeta canta il proprio risentimento, il disappunto, per lo svuotamento progressivo, costante, di valori e loro perennità, che affligge il nostro tempo, a causa di quello che chiama “il relativo”: «Tutto è relativo/ormai e tutto è il nulla annunciato/nel deserto dei cuori.»
   Dunque, nella realtà odierna, tutto è “relativo”, dice il poeta. Ma per converso nemmeno tutto è “assoluto”. A quel relativo da cui egli prende le giuste distanze non può essere ascritto, ad esempio,  il tutelabile diritto alla libertà di opinione, che può solo esplicarsi nel rifiuto di ogni dogmatismo. Il relativo stigmatizzato dal poeta è dunque riferibile a tutto quanto comporti il pervicace svuotamento di significato di ciò che rende salda e ancorata la nostra esistenza e la nostra civile convivenza, rese invece sempre più fragili da interessi che gavazzano, più che nel transeunte, nel frivolo e nel provvisorio.
   La riflessione che il poeta ci suggerisce e che deriviamo dalla lettura di questo prezioso libretto è che la nostra pseudo-civiltà viva una grande confusione, nella quale relativo e assoluto finiscono per confondere i loro ruoli, ossia relativizzando l’assoluto e assolutizzando il relativo. Tutto ciò non può avvenire se non a costo di gravi fraintendimenti, sconvolgimenti, negatività. Infatti,  assolutizzando il relativo  si creano idoli (anche nel senso di idola baconiani), si glorifica l’inautentico. A relativizzare l’assoluto si giunge a negare l’essenza a vantaggio dell’apparenza e fare della prima tutt’al più uno strumento da comodato d’uso o un belletto da bancarella.
   In tali fraintendimenti (fra i quali gl’innamoramenti incondizionati al proprio Dio al punto da considerare nemici da abbattere coloro che, appellati infedeli, manifestino fedeltà ad altro Dio), è stato coinvolto Cristo, considerato «profeta tra tanti /forse un po’ petulante», il quale rischia di essere «sfrattato» per un  minareto, osserva amaramente il poeta, il quale mira a ricondurre queste molteplici, contrastanti e fuorvianti dinamiche all’elementarità di un grande principio: quello del «volersi tutti amare».
   E perché possa realizzarsi un tale percorso, volge lo sguardo alla poesia. Una poesia – osserva – che non dimentichi che la bellezza senza amore è dimidiata e votata alla propria vanificazione. L’arte, si sa, è astrazione, ma ogni astrazione (ab traho) non può che muovere dal reale. L’arte è la bellezza che dal reale trae linfa, da esso si eleva, in esso si eterna.

   E come nel messaggio evangelico il nostro poeta trova l’impegnativo iter al Regno dei Cieli, così nella poesia trova accesso al «suo» Regno del Cieli, che dunque può cogliersi anche in terris,  con e nella quotidianità. E per avvalerci di una considerazione di Salvatore Lo Bue nella sua puntuale prefazione, diventa in tal modo possibile vincere il banale, superare quello che il poeta chiama «il deserto dei cuori». E verso la falsa poesia è rivolto un altro strale di questo icastico poemetto: quella che finge di dire e non dice, che si nutre di autocompiacimento senza altri obiettivi, la poesia giocata – come si sarebbe detto in altri tempi – sul “verso che suona e che non crea”. Non “crea” mondi nuovi, di nuova umanità, di sguardi verso orizzonti nuovi.

martedì 19 settembre 2017

Premio Francesco Carbone - Experimenta, Domenica 24 Settembre, alla Real Casina Borbonica di Caccia di Ficuzza



GIURIA DEL PREMIO

Vincenzo Viscardi - Presidente dell’Istituzione Francesco Carbone
Aldo Gerbino - Critico letterario e d’arte contemporanea
Francesco Marcello Scorsone - Presidente dell’Associazione Studio 71
Vinny Scorsone - Storico e critico d’arte


I PREMIATI

Liceo Artistico “Eustachio Catalano” - Liceo Artistico
Tiziana Viola Massa - pittrice
Museo Epicentro - di Nino Abbate
Tommaso Romano - poeta, editore, scrittore
Gonzalo Alvarez Garcia - critico d’arte e letterario
Annamaria Amitrano - antropologa
Giuseppe Giuffrida - industriale e operatore culturale
Mario Lo Coco - ceramista e scultore
Emanuele India - artista
Gaetano Ginex - architetto progettista
Ciro Spataro - politico e operatore culturale
Filippo Panseca - premio speciale Experimenta 2017, sperimetatore e innovatore  nell’ambito della ricerca nelle arti contemporanee