mercoledì 25 maggio 2016

Orfismo e Gnosticismo in Tommaso Romano

Il panormita Tommaso Romano scrive versi da quasi un cinquantennio e, addirittura, inizia a farlo da quando aveva quattordici anni (Rime sparse, 1969). Il suo lavoro è ora ricapitolato nell’antologia Esmesuranza (la dismisura richiamata risale a Jacopone da Todi) (Heliopolis, Pesaro,2008) e nel successivo libretto Dilivrarmi  (Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2010), che nel titolo richiama stavolta il “liberarsi” di Francesco Petrarca (sonetto LXXXI del Canzoniere).
Diciamo subito che la prova dell’adolescenza è, appunto, adolescenziale, con le esasperate malinconie di quell’età (“triste” ricorre più volte e Tristezza è il titolo di un testo) e con un distacco dal mondo (“nulla e nessuno m’interessano. / Perché il mondo mi delude”, p.18) che è però più caratterizzante di quella tendenza all’introversione che contrassegnerà il suo successivo percorso lirico. Clicca qui per continuare a leggere

lunedì 23 maggio 2016

Tommaso Romano, "Giuseppe Rizzo" (Ed. ISSPE)

di Piero Vassallo

“L'opera di Giuseppe Rizzo manifesta in piena luce da un lato il tendere infinito della mente nella ricerca della Verità, dall'altro caratterizza in maniera inequivocabile questo divenire della mente, perché il significato lo riceve dalla luce della Verità totale alla cui comprensione si sforza pervenire.
 Giulio Bonafede


 Simile alla inconscia zagaglia di carducciana memoria, il piombo rovesciato su Giovanni Gentile dal gapista e pistolero fiorentino Bruno Fanciullacci avviò la calunnia e ispirò l'epurazione implacabile delle filosofie irriducibili all'utopia marxiana e al suo desolante esito crepuscolare.
 Ebbe inizio in quel tragico e oscuro 1944 il progetto degli oscurantisti, che hanno usato l'armato ma inconsapevole apparato culturale dei comunisti per sguinzagliare e promuovere i tenebrosi pensieri giacenti nel sottobosco esoterico e indirizzarli all'esito fumoso, ultimamente leggibile nei libri prodotti dalla squillante spocchiaadelphiana.
 Sugli autori irriducibili alla rivoluzione esoterica si è abbattuta, infatti, la severa e implacabile intolleranza di una censura protetta dal metafisico preservativo antifascista.
 Di qui il suggerimento di rileggere i testi dei protagonisti del vivace ma cortese dibattito che oppose i pensatori di scuola gentiliana ai filosofi d'ispirazione cattolica. Una vicenda sgradita agli esponenti della cultura in corsa illuminata – da Benedetto Croce a Monica Cirinnà e a Roberto Calasso - nell'interminabile dopoguerra.
 Alla faticosa impresa finalizzata alla ricostruzione di una importante pagina della storia filosofica italiana si è da tempo dedicato un allievo sagace e fecondo continuatore dell'opera di Giulio Bonafede, Tommaso Romano.
 Intrepido e ostinato visitatore della tradizione italiana calunniata, censurata e oscurata dal potere esercitato dai maghi freneticamente attivi nei vespasiani democratici, Romano esplora le pagine scomode della storia della filosofia.
 La più recente e impegnativa opera di Romano (edita in Palermo dall'Isspe) è dedicata alla discoverta del pensiero di un dotto sacerdote, Giuseppe Rizzo (1878-1933) filosofo rosminiano e canonico di Ciminna, un autore ingiustamente sottovalutato dalla storiografia d'ispirazione laicista e/o neo-modernista.
 Alla formazione filosofica di don Rizzo contribuirono alcuni illustri docenti dell'università di Palermo, interpreti di correnti di pensiero con le quali il sacerdote di Ciminna dovette misurarsi: il neo idealista Giovanni Gentile, e i positivisti Cosmo Guastella, Giovanni Antonio Colozza e Giuseppe Tarozzi.
 Rizzo fu stimato tuttavia da Gentile, che gli assegnò, quale argomento della tesi di laurea, Il problema del bene e del male e la Teodicea di Rosmini nella storia della filosofia.
 Romano rammenta, opportunamente, che “il giovane studioso di Ciminna si porrà lontano dalla filosofia dell'Idealismo e del Positivismo, allora egemoni”.
 Fu a Beato Antonio Rosmini cui don Rizzo fece costante riferimento, senza peraltro (rammenta opportunamente Romano, che al proposito cita un saggio di Michele Federico Sciacca) “diventare divulgatore pedissequo ma inserendo personali notazioni, osservazioni, innovazioni e varianti, non certo di scarso rilievo e interesse”.
 Lo storico Salvatore Corso ha dimostrato che don Rizzo intendeva “stabilire la concretezza e la stabilità del pensiero rosminiano in paragone con l'astrattismo dell'Idealismo e del semplicismo del materialismo”.
 Pertanto saggio di Romano costituisce un prezioso contributo alla discoverta di un autore ingiustamnente sottovalutato e affondato nel gorgo del cattolicesimo spensante.

mercoledì 4 maggio 2016

Salvaguardarsi nella nuova Babilonia

di Tommaso Romano

È l’ora della consapevolezza, del salvaguardarsi e proteggersi reciprocamente.
Questo è il tempo dei sogni vani, dei cambiamenti utopistici dettati da ricette preconfezionate, di totalitaria ingegneria antiumana.
Non è però tempo di impegno estremo, di atti appariscenti, di dichiarazioni roboanti.
Certo, sorge l’indignazione, il disgusto, il senso della lontananza da questo mondo che si autoconsuma rifiutando il principio creaturale divino e l’ordine naturale, l’essenza vitale, la sorgente che non sa più trascendersi nell’Oltre, che non ammette distinzioni, ruoli, definizioni, tutto lasciando al libero arbitrio, falsamente affidato all’individuale. Che è in realtà diretto da sofisticate centrali vocate al capovolgimento sistematico che lavorano alla massificazione, anestetizzano, indirizzando il proprio timone scellerato e comprimendo ciò che si fondava sul buon senso, sul senso comune, facendoli apparire come residui oscurantisti, superati, reazionari, in nome dell’assoluta autodeterminazione, che è appunto e in verità un soggiacere a disegni e voleri altrui.
Il principio su cui prendere autonomamente posizione va perciò forgiato nella prova, nel dolore, nel rifiuto, con la ferma decisione a resistere, con l’autodifesa individuale, nella disciplina personale da esercitare, nella cura di sé.
Riordinare, intanto, le priorità. Spesso i problemi, infatti, sono futili e insignificanti.
Restare fermi sulle posizioni integrali e tradizionali con la forza che nasce dal realismo, dalla solitudine, mitigata dalla compagnia di qualche consimile che agisce, pensa e professa allo stesso modo, o almeno per parti convergenti.
Non arrendersi, interiormente, al declino.
Occorre non apparire, tuttavia, oltre il dovuto e non coltivare il risentimento, che logora.
Mimetizzarsi. Procedere con lentezza esteriore. I giroscopi che girano attorno a velocità frenetica, si ritrovano sempre allo stesso punto e non vanno da nessuna parte.
Non distribuire troppi consigli e inutili parole a chi non sa e non vuole ascoltare, non sa e non vuole recepire, per quieto vivere o per conformismo, e che quindi non riesce ad entrare, neppure per qualche lieve segmento, in sintonia.
Ritrovare l’anima delle cose, dell’immateriale, della natura e del tempo delle cose, che parlano l’arcano e il concreto.
Scoprire e circondarsi quanto più possibile di bellezza, che se è vera è sempre semplice ed essenziale. Evitare le maniacali affezioni. Non guardare alle cose, agli oggetti come fonte di valutazioni utilitaristiche, nella logica economicistica del mercato, troppo spesso queste sono bugiarde.
Fare delle proprie abitazioni delle domus rilucenti, autartiche, autentici spazi di identità, di memoria, per relazioni autentiche, fin come e dove possibile. Ammettervi poche e scelte persone, per non profanare, con lo stupore beota, l’invidia o con il radicale rigetto, ciò che è parte di una sacralità che si compone in spirito e cose, da non permettere di violare.