lunedì 28 settembre 2015

Il Cardinale Salvatore Pappalardo, il presule che non ebbe mai paura della mafia

di Carmelo Fucarino

Presentata a Palermo la biografia, scritta da Maria Pia Spalla, dell’ex Arcivescovo del capoluogo siciliano, Cardinale Salvatore Pappalardo, un uomo che ha segnato, in positivo, la vita della città e di tutta la Sicilia. Figura centrale, soprattutto negli anni ’80 del secolo passato, quando il piombo della mafia ammazzava, ad uno ad uno, gli uomini delle istituzioni. Tra gli intervenuti, Mario Grasso e Tommaso Romano
A Palermo era il “Cardinale”. Un grande uomo di Chiesa coraggioso e innovatore. Amato e benvoluto da tutti, l’Arcivescovo del capoluogo siciliano, Cardinale Salvatore Pappalardo, ha segnato in positivo la vita della città e della Sicilia. La sua figura è stata ricordata nei giorni scorsi a Palermo, nella prestigiosa location dell’Auditorium di Palazzo Branciforte, con un convegno promosso da Lunarionuovodi Catania, Rassegna mensile di letteratura, Gruppo Convergenze intellettuali e artistiche italiane. Un evento in due step: la presentazione della biografia saggio di Maria Pia Spalla, Mafia e responsabilità cristiana - Il grido del Cardinale S. Pappalardo, edizione Prova d’Autore, Catania 2015, e la Cerimonia di consegna del “Marranzano d’argento 2015” per la letteratura e l’operatività culturale al poeta Tommaso Romano.
Sono intervenuti il fondatore della rivista e del premio, Mario Grasso, l’editrice Nives Levan, la presidente del gruppo catanese, Giulia Sottile. Laura Rizzo, coordinatrice, ha svolto ad apertura dei lavori gli onori cerimoniali con i ringraziamenti al direttore del centro ospite e a tutti gli intervenuti. La sala piena al gran completo, con la presenza di una qualificata rappresentanza della cultura palermitana, ha attestato l’importanza del convegno.

L’iniziale intervento della giovane presidente del Lunarionuovo è servito ad illustrare le linee portanti della biografia saggio di Maria Pia Spalla. L’analisi è stata puntuale ed ha messo in evidenza gli elementi innovativi di questa indagine sulla vita di un presule che ha ribaltato il valore del magistero vescovile a Palermo, dopo l’assenza e le tante connivenze della Chiesa che si era mantenuta per secoli in una sussiegosa e distaccata superiorità chiusa nel suo palazzo e lontanissima dai bisogni e dalle aspettative del popolo. Il saggio giunge opportuno dopo il lungo ed assoluto silenzio calato per tanti anni sulla innovativa esperienza del Cardinale Pappalardo. Il testo mira, attraverso la ricerca delle fonti ufficiali degli Archivi Vaticani e anche attraverso gli appunti personali, a collocare i fatti in quegli anni di trasformazione della Chiesa palermitana e in un contesto assai tragico della città: 600 omicidi tra il 1981 e il 1983, con la lunga scia di sangue di personaggi illustri: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Michele Reina, Piersanti Mattarella, Mario Francese e i giudici Cesare Terranova e Gaetano Costa, fino a Pio La Torre.
Il maxiprocesso alla mafia iniziato nel 1986 avrebbe segnato uno spartiacque nei giudizi sulla mafia e nella strategia della lotta a Cosa nostra. Il pesante clima della stragi mafiose aveva reso più eclatante - dopo l’era dell’Arcivescovo di Palermo, Cardinale Ruffini, “l’ultimo re delle due Sicilie” - la “scelta religiosa” montiniana di Pappalardo.
È seguita la profonda appassionata ed avvincente prolusione di Tommaso Romano, giustamente definita da Grasso una lectio humanitatis. L’analisi è stata perfetta e completa, sarebbe banale e superficiale definirla a 360 gradi, ancor più con un vacuo aggettivo sarebbe dirla “esaustiva”. Essa nella passione derivante dalla personale conoscenza dell’uomo, sia nelle funzioni istituzionali, sia anche in un rapporto privato, non ha tralasciato nessun aspetto dell’esperienza ecclesiale del Cardinale Pappalardo, uomo intensamente di rottura e di vera catechesi, alieno dai facili applausi e volto alla proclamazione della Parola in funzione sociale.
Ci sarebbe stato tanto da ricordare per chi ha vissuto quell’inizio di primavera e ha letto quel giornalino di carta lucida e bianca dal titolo criptico, già premonitore del nuovo linguaggio di sintesi mediatica, La città X l’uomo. Da professore ossequiente al codice grafico della lingua che segnavo nei compiti di greco quel x, commentandolo con un “moltiplicato?”, in quel contesto di sintagma di un titolo lo accettai quasi a volere intendere quel moltiplicarsi della città negli uomini che la componevano. Ne conservo, non so dove, ancora qualche numero, con quelle proposte di rinnovamento, di scoperta della città, di messaggio soteriologico. Tutti sapevano che era un organo politico della Curia.
Eppure non c’era repulsa o critica rancorosa. Oggi nel becero e volgare linguaggio politico sarebbe stato completamente diverso. E non fu senza significato la concomitanza della presenza del gesuita padre Bartolomeo Sorge e l’esperienza dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arupe, da lui fondato e animato dalle idee e dalla lungimiranza politica del gesuita e sociologo, Ennio Pintacuda, che guidarono e ispirarono la tanto conclamata “Primavera di Palermo”. Esemplari i suoi scritti che, a partire daSottosviluppo, potere culturale, mafia del 1972, giungono al celebre La scelta del 1993, che lo portò alla ribalta della cultura non solo italiana. La sua attività fu in linea con il tema di questa biografia del Cardinale e ne sviluppò tutte le tematiche (così Sud tra potere e cambiamento del 1975).
Ma non solo di questo ha parlato Tommaso Romano. Non solo di quel grido, stigmatizzato già nell’occhiello del sottotitolo del libro. Perché alla fine il libro voleva essere, sì, la biografia del Cardinale Pappalardo, la storia, come precisa il relatore, contestualizzata di un preciso periodo e di una ben definita classe politica, ma il titolo proclama ben altro, puntualizzava una questione di grande complessità ed impatto, per certi versi scandalosa anche a volerla contestualizzare all’ultimo dopo guerra. Si trattava di una questione estremamente ardua da affrontare dopo tante recise affermazioni, citava Giulia Sottile la boutade che la mafia era un detersivo, non solo di illustri intellettuali locali, ma anche delle gerarchie ecclesiastiche, nessuna esclusa, dal basso fino all’alto, colposamente connivente o semplicemente pigra e adagiata sul quieto vivere, come precisa Romano.
Il vero titolo del saggio solleva una buona volta il velo sulla secolare mistificazione: Mafia e responsabilità cristiana. Certo non grammaticalmente chiaro, in quella attribuzione, ma semanticamente pregnante, se si vuole allargare la “colpa” non solo alle gerarchie, ma anche al popolo tutto, nessuno escluso, neppure gli intellettuali isolani al gran completo. Complici forse, ma anche vittime di una prepotenza secolare, che a definirla cultura mafiosa, si offende la cultura o non se ne conosce l’essenza. Il completo ribaltamento dei termini avvenne pertanto sul piano culturale, ma anche di catechesi, di teologia (della liberazione?) di un uomo che mai volle esser politico, che nel Vangelo trovava le parole e la rivoluzione. Perché di questo si trattò a Palermo, al di là dell’appariscente e dirompente “grido” (dal liviano, “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur […] povera Palermo” nell’omelia ai funerali di Della Chiesa, a San Domenico, il 4 Settembre del 1982, che un grande comunicatore avrebbe ripreso con forza ed ira (se fosse possibile) nella sua pronunzia improbabile: “Convertitevi, convertitevi, una volta verrà il Giudizio di Dio” (parliamo del celebre intervento di Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 Maggio del 1993).
E bandire “la rivoluzione degli onesti” è stato un processo difficile nella cosiddetta “Curia dei monsignori”o “dei separati in casa”, anche dopo il gesto eclatante della “fuga” del serafico Carpino, dopo appena due anni di cardinalato, negli anni orribili del “sacco”. Soprattutto per un uomo che aveva fatto le sue prove di diplomatico di scuola vaticana in Indonesia ed era stato sbalzato in una realtà così tragica come quella della Palermo delle quotidiane “ammazzatine”, ricordate da Tommaso Romano con la ossessiva quotidianità dei “gazzettini” mattutini.
Non c’è stato spunto di queste cento pagine del saggio che sia stato omesso nella lucida analisi di Tommaso Romano e sarebbe il caso di raccogliere il suo testo e pubblicarlo. L’autrice del saggio vi faccia un pensiero. Quello che più mi ha colpito e turbato è stato il forte richiamo a monsignor Cataldo Naro. Non ho le qualità per frequentare, come Tommaso, le alte personalità e di essere testimonio della Storia. Umilmente ho incontrato Cataldo Naro in una chiesetta di provincia intorno agli anni in cui fu consacrato Arcivescovo e abate di Monreale e fece la sua visita pastorale. Ho ammirato la sua formazione culturale, ma anche la sua umanità e il suo smisurato coraggio in una terra infame.
Ora a sostegno dell’elogio di Romano voglio ricordare nella mia diocesi di nascita il suo progetto pastorale “Santità e legalità”, in collaborazione con i comuni dell’Alto Belìce Corleonese consorzio “Sviluppo e legalità” e con l’Osservatorio per lo sviluppo e la legalità “Giuseppe La Franca”. E ancora durante la sua Presidenza della Facoltà Teologica di Sicilia le giornate del convegno sul “martirio per la giustizia” in onore di Livatino e alla morte la lectio magistralis del vescovo Vincenzo Paglia in occasione dell’assegnazione del premio postumo “Obiettivo legalità”. La cinquantina di suoi testi definiscono il livello dell’uomo di cultura.
Poi la seconda parte della serata, quella celebrativa, illustrata dalle articolate e complete motivazioni che hanno spinto il comitato e il promotore ad assegnare il prestigioso riconoscimento a Tommaso Romano, in buona compagnia con Bonaviri, Bufalino, Consolo, Fiore, Fiume, Pantaleone, Parodi, Pasqualino e tanti altri noti e di ugual spessore culturale e artistico. La sua attività svolta nella cultura palermitana e non solo non ha bisogno di illustrazioni, le sue iniziative sono a tutti note, la sua bibliografia in campo letterario, poetico, narrativo, filosofico, semplicemente divulgativo, culturale su ampio raggio, sono troppo note. Attore, promotore e animatore indefesso.
Ho stretto la mano a Mario Grasso e gli ho confessato che mi ha commosso la sua commozione, quel sentimento di adesione e di profonda simbiosi che denota realmente quello che ha definito il palpito dell’anima, la sua luminescenza radiografica. Le sue profonde divagazioni sulla vita e sulla società a partire da un uomo in carne ed ossa, fulminante e avvincente quella definizione del “mortale immortale”, un uomo che era stato ed è segno di amicizia e di purezza, di cultura e di umanità. Avrei voluto trascrivere ogni sua parola e risentirla, avrei potuto scriverla, ma non avevo carta e penna. Ma forse è stato meglio così, mi è restata la sensazione della magia nelle sue scorribande culturali, ma soprattutto umane, empaticamente personali, ma universali di Mario Grasso, un fiume di profonde riflessioni e di humanitas nel senso più specificamente ciceroniano.

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