di Tommaso Romano
È
l’ora della consapevolezza, del salvaguardarsi e proteggersi reciprocamente.
Questo
è il tempo dei sogni vani, dei cambiamenti utopistici dettati da ricette preconfezionate,
di totalitaria ingegneria antiumana.
Non
è però tempo di impegno estremo, di atti appariscenti, di dichiarazioni
roboanti.
Certo,
sorge l’indignazione, il disgusto, il senso della lontananza da questo mondo che si autoconsuma
rifiutando il principio creaturale divino e l’ordine naturale, l’essenza
vitale, la sorgente che non sa più trascendersi nell’Oltre, che non ammette
distinzioni, ruoli, definizioni, tutto lasciando al libero arbitrio, falsamente
affidato all’individuale. Che è in realtà diretto da sofisticate centrali
vocate al capovolgimento sistematico che lavorano alla massificazione,
anestetizzano, indirizzando il proprio timone scellerato e comprimendo ciò che
si fondava sul buon senso, sul senso comune, facendoli apparire come residui
oscurantisti, superati, reazionari, in nome dell’assoluta autodeterminazione,
che è appunto e in verità un soggiacere a disegni e voleri altrui.
Il
principio su cui prendere autonomamente posizione va perciò forgiato nella
prova, nel dolore, nel rifiuto, con la ferma decisione a resistere, con
l’autodifesa individuale, nella disciplina personale da esercitare, nella cura
di sé.
Riordinare,
intanto, le priorità. Spesso i problemi, infatti, sono futili e insignificanti.
Restare
fermi sulle posizioni integrali e tradizionali con la forza che nasce dal
realismo, dalla solitudine, mitigata dalla compagnia di qualche consimile che
agisce, pensa e professa allo stesso modo, o almeno per parti convergenti.
Non
arrendersi, interiormente, al declino.
Occorre
non apparire, tuttavia, oltre il dovuto e non coltivare il risentimento, che
logora.
Mimetizzarsi.
Procedere con lentezza esteriore. I giroscopi che girano attorno a velocità
frenetica, si ritrovano sempre allo stesso punto e non vanno da nessuna parte.
Non
distribuire troppi consigli e inutili parole a chi non sa e non vuole
ascoltare, non sa e non vuole recepire, per quieto vivere o per conformismo, e
che quindi non riesce ad entrare, neppure per qualche lieve segmento, in
sintonia.
Ritrovare
l’anima delle cose, dell’immateriale, della natura e del tempo delle cose, che
parlano l’arcano e il concreto.
Scoprire
e circondarsi quanto più possibile di bellezza, che se è vera è sempre semplice
ed essenziale. Evitare le maniacali affezioni. Non guardare alle cose, agli
oggetti come fonte di valutazioni utilitaristiche, nella logica economicistica
del mercato, troppo spesso queste sono bugiarde.
Fare
delle proprie abitazioni delle domus
rilucenti, autartiche, autentici spazi di identità, di memoria, per relazioni autentiche,
fin come e dove possibile. Ammettervi poche e scelte persone, per non profanare,
con lo stupore beota, l’invidia o con il radicale rigetto, ciò che è parte di
una sacralità che si compone in spirito e cose, da non permettere di violare.
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