di
Marcello Falletti di Villafalletto
L’Autore non vuole tracciare una biografìa, alquanto inopportuna,
del noto personaggio palermitano, ampiamente conosciuto non solamente nel
circostanziato spazio isolano; altrettanto a livello nazionale ed europeo, ma
riassumere alcuni aspetti del suo pensiero e del coerente operare che lo hanno
da sempre contraddistinto. Certamente non si potrà neanche condensare in poche
pagine l’intensa poliedrica attività di un personaggio, come Tommaso Romano,
che ha ancora tanto da dare, fare e proporre.
A riguardo, la curatrice, nel Proemio,
“Tommaso Romano: la scrittura della vita” scrive: «Trovare le parole esatte per
definire e ben rappresentare l’unicità di una qualsivoglia creatura è già
compito delicato e difficile. Se si desidera poi cogliere l’essenza e catturare
la sostanza di un uomo dalle forme volubili, riluttante ad ogni prigionia,
ribelle a qualsiasi classificazione, sempre in divenire anche se fortemente
ancorato alla sua radicale coerenza, allora l’opera diviene ancora più
complessa». Già: “eterogenea, articolata” potrebbero essere definizioni
sostanzialmente riduttive e costrittive per la multiforme attività che diviene
fondamentalmente vitale per l’impegno che Tommaso prosegue, persegue e continua
a sviluppare con indomita energia, quasi adolescenziale. Dove altri si
arresterebbero, lui riprende, prosegue, saldamente ancorato, verso un futuro
che sembra aver sempre più bisogno di energie di questo tipo: come le sue.
«Volere, inoltre, riassumere le qualità esistenziali attraverso
consueti termini, soliti aggettivi e luoghi comuni di chi, per natura,
consueto, solito e comune non lo è affatto, l’impresa
diventa laboriosa - prosegue l’Allotta -. In tal
senso, allora, raccontare Tommaso Romano, facile certamente non è.
La prima difficoltà nasce dalla scelta delle parole per restituire
un ritratto che ben lo rappresenti. Infatti, utilizzando un lessico semplice e
ordinario si potrebbe mortificare la complessa formazione culturale, il suo
ampio sapere e le sue astruse conoscenze; di contro, l’adozione di un
linguaggio altisonante sminuirebbe certamente la sua innata semplicità e
naturalezza, spesso però mascherata -inspiegabilmente - da un atteggiamento
altezzoso e schivo, in taluni casi arrogante e superbo, alieno, comunque, da
ogni volgarità, banale esteriorità e mondanità.
La seconda difficoltà è data, invece, da un ostacolo sicuramente
più insidioso: sintetizzare chiaramente il suo operato considerando il dove, il
quando e il perché della sua “contemplattività”.
Ecco allora che ogni etichettatura non rende, ogni classificazione
appare impropria, ogni recinto vincolante; così come le stesse coordinate
spazio-temporali non reggono data la simultaneità plurima del suo agire.
Ricapitolare, dunque, il profilo
sinuoso di Tommaso Romano, che si esprime a cascata, per cicli e
in diverse direzioni, ma soprattutto, ricostruire la foga e l’impeto del suo
fare, la volontà di realizzare, la capacità di progettare e la passione per il
contemplare, lievemente smarrisce».
Riassumere in poche pagine un percorso di vita, per quanto
avanzato, tutto ancora in divenire, non sarebbe facile, tanto meno delinearlo
con semplici e mortificanti parole. Quindi, ha fatto ottimamente Maria
Patrizia Allotta, a presentare questi orientamenti di speranza, che non possono
morire mai, dai quali emerge l’anima, più profonda dell’uomo, del poeta, dello
scrittore, del critico, saggista, bibliografo, storico, politico e altro ancora
che esorta: “Viviamo nella e per la Verità”. Facendo di questo assunto un
programma esistenziale, eternamente durevole; tanto da farsi universalmente
pedagogo non solamente di pensiero ma di vita stessa; vivendola intensamente,
profondamente, attivamente come ha da sempre fatto Tommaso Romano. E oggi, più
che mai, la sua sollecitazione a certi uomini di potere, comando,
amministrazione, organizzazione, dovrebbe diventare monito nella mente,
programma del cuore, affinché realmente quella “politica che ha bisogno
dell’anima”, diventi espressione incessante di più elevate considerazioni:
quelle che scaturiscono chiaramente dall’insegnamento evangelico e cristiano.
Fin dal primo capitolo: L’essenzialità della parola viva,
delinea, energicamente un percorso vitale che ripercorre quel “mosaicosmo”,
(personale suo neologismo), presentandocelo: unico e irripetibile che
attraversa un’intera esperienza umana che possiamo, dovendolo riscoprire, non
solamente irripetibile ma cosmologico nella sua incontrovertibile unicità.
Argomenti filosofici, pensieri pedagogici, maturati in queirintima
contemplazione che ardiscono verso un’attività sinergicamente produttiva, ben
articolata, tanto da poter essere presentati come mimési che diventa via via
esegesi di un’escatologia tanto necessaria all’umanità, che oggi ne ha smarrito
il vero e autentico significato.
«Occorre riscoprire il legame vero, quella “consanguineità” col Mistero
- scrive Tommaso Romano, verso la fine del settimo capitolo (Dalla
morte di Dio al Dio vivo) - quell’amicizia che non tradisce e che
vigilando ci libera, quel magistero che risiede nel prezioso dono dei
sacramenti e dei comandamenti. Vivere Cristo è il più alto degli atti e degli
esempi cui lo sforzo della nostra vita può tendere»; non più mera filosofia ma
elevata teologia che proietta ad una elevata conoscenza, verso la quale
dovrebbe, deve tendere ogni essere umano. Ciò significa vivere “nella e per la
Verità”, cominciando da quaggiù quel percorso, a volte scabroso, difficile, per
proseguirvi, da ora in poi, eternamente.
da: “L’Eracliano”,
Scandicci n°7-9, 2015
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