di Gonzalo Alvarez Garcia.
La
poesia di Tommaso Romano lascia nel palato estetico del lettore il sapore di
sensazioni, a prima vista, contrastanti. Ama l’antica nobiltà della parola,
nelle cui radici palpita ancora il fervore con cui generazioni e generazioni di
antenati scolpirono lo spazio umano che ci appartiene: la Cultura , la Storia. Sceglie le
parole ad una ad una, come chi sceglie un’amicizia. Le contempla, le pesa nella
bilancia, le lascia decantare nell’alambicco della propria sensibilità, e le
assegna una nicchia precisa nelle edicole del suo tempio poetico.
Viene
in mente, leggendo “Dilivrarmi”, ultima delle sue raccolte poetiche, il fervore
con cui gli egregi maestri scalpellini senza nome ornarono i grandi santuari
medioevali: Chartres, Vezelay, Santiago de Compostela…
La
luminosità e la sonorità, discreta, delle parole rimanda al profilo di
frontespizi prestigiosi, quasi a voler suggerire la prevalenza del prospetto.
Ma
ecco che, appena varcato il vestibolo, il lettore scopre la penombra delle antiche
navate, le domande che non hannorisposta, l’indefinibile confine tra l’istante
e l’eternità…
“Nel
giorno della farfalla / che vive l’attimo che si posa/ e vola/ immune da ogni
pensiero/ di fine, /libera/ di respirare bellezza/ volteggiando lieve / alla
ragione incatenata / alla logica del tempo/ al buio della notte:/ non dura/
eppure permane allo sguardo/ il silenzioso batter/ d‘ali impalpabili”.
Nascosto
dietro il chiaro frontone permane, inevitabile, il nostro irrinunciabile spazio
esistenziale, il Mistero “al buio della
notte”.
In tempi come il nostro, che sfacciatamente
privilegia la facciata, non è scarso merito che un poeta ci guidi amabilmente
all’ Interiorità.
Palermo, 12.12.2010.
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