Vito Mauro, Maria Patrizia Allotta, e Ignazio Romano
e la Fondazione Thule Cultura ricordano il Maestro Antonino Buttitta e la sua
vicinanza con Tommaso Romano e con tutti noi suoi amici. Pubblichiamo la prefazione
che egli volle dedicare al libro Continuum
a cura di Vito Mauro (Ed. CO.S.MOS) nel
2015 che è una pagina tersa di amicizia e di stima per l’attività e l’opera di
Tommaso Romano.
Occorre un serio sforzo intellettuale per intendere con
esatta misura la figura e l’opera di Tommaso Romano. È necessario liberarsi
dalle obsolete schematizzazioni e dai pietrificati luoghi comuni che quanto
meno da circa due secoli inquinano le idee politiche e letterarie del nostro
Paese, insieme alla distorta valutazione delle sue vicende storiche e
intellettuali.
Innanzitutto l’abitudine di attribuire valore negativo o
positivo a quanto diciamo conservatore o progressista e conseguentemente di
destra o di sinistra. Un’idea questa che ritenuta dato scontato porta in genere
a esiti discutibili. Vedi la valutazione sui risultati del comuniSmo oppure la
valutazione negativa del Gattopardo
da parte di un intellettuale, per vero non superficiale, quale Elio Vittorini.
Restiamo in letteratura. Ho conosciuto molto da vicino Tomasi di Lampedusa.
Era, come si direbbe, un evidente esemplare di monarchico di destra, diremmo
molto reazionario. Basti pensare che come era il costume della nostra
aristocrazia, quando decise di adottare Gioacchino, chiese l’approvazione di
Umberto già in esilio.
Se essere di destra è di per se connotato anzi denotato,
negativo per l’aspetto artistico, qualcuno dovrebbe spiegarci non solo il
valore artistico del romanzo di Lampedusa, ma anche delle opere di molti
autori, a cominciare da Manzoni per arrivare attraverso Pirandello a quello che
dal più grande critico letterario dei nostri tempi, George Steiner, è stato
definito un vertice assoluto della letteratura italiana cioè il Satta del Giorno del giudizio.
La verità è che la qualità di uno scrittore ha, volente o
nolente, sempre a che fare con la sua appartenenza politica, ma questo non è
automaticamente un fatto negativo o positivo, come non lo è l’essere di destra
o di sinistra, considerato che positività e negatività di qualunque fatto non
sono dati oggettivi ma percezioni dovute al nostro posizionamento ideologico,
che non dovrebbe, anche se spesso è così, condizionare i nostri giudizi tanto
artistici quanto politici.
In ogni caso per non immettersi in vicoli ciechi istupidenti
tanto in politica quanto in letteratura, non bisogna mai dimenticare che la
cultura in tutti i suoi ambiti non
è un fatto che è ma che diviene: dunque qualunque scelta come
qualsiasi valutazione è sempre soggetta a mutamento, se non a livello profondo
quanto meno a livello della manifestazione, quello rispetto al quale noi
formuliamo i nostri giudizi. Ovviamente questo non deve portarci a accettare
passivamente qualunque cambiamento. Tanto in politica quanto nelle arti, la
coerenza tanto ideologica quanto stilistica resta sicuramente un valore. Il
costume tipicamente italiano di cambiare dall’oggi al domani scelte politiche e
estetiche non deve essere giudicato un fatto di per sé positivo in assenza di
persuasive motivazioni.
Sgombrato il campo da schemi e luoghi comuni, possiamo con
serena misura critica parlare dell’opera di Tommaso Romano. Innanzitutto la
forma, in genere in casi come questo trascurata dai critici. Leonardo Sciascia
mi diceva che gli scrittori siciliani meglio di altri si segnalano per il loro
italiano esemplare. La ragione, egli diceva, è perché pensano in siciliano e
scrivono in italiano attraversando il filtro della grammatica italiana. Era
questo il suo caso. Pensava e parlava in siciliano, come molti di noi, ma il
suo italiano era un esempio raro di elegante scrittura. È il caso anche di
Romano la cui limpida lingua si impone per una espressività che dire
scorrevole non rende ragione della armonia stilistica tanto della sua prosa
quanto della sua poesia, ed è singolare che la molteplicità dei suoi interessi
e la varietà dei temi trattati si esprimano attraverso un lessico e una
sintassi sempre coerenti.
La coerenza! Quanto marca in maniera riconoscibile il discorso
intellettuale di Tommaso Romano è appunto la continuità, per altro non
iterativa, cioè l’assenza di fratture o salti tanto nello stile espressivo
quanto nella scelta dei contenuti tematici e ideologici. Diceva Cocchiara che i
libri non si scrivono mai da soli e Todorov recentemente ha affermato che noi
senza rendercene conto siamo sempre anche gli altri. È un fatto che ha una
prova eclatante in tutta l’attività di Romano, sia nei comportamenti come
negli scritti. Egli appartiene infatti a una tradizione intellettuale tra le
più connotanti la storia culturale della nostra Isola. Si suole dire che la
cultura siciliana si segnala nel settore artistico (da Antonello a Guttuso) e
in quello letterario (da Verga a Sciascia). Stranamente si dimentica o si vuole
dimenticare una tradizione speculativa che senza bisogno di richiamare Gorgia e
Empedocle, ha avuto in tempi molto più recenti, figure illustri: da Cosmo
Guastella (1954-1922) a Giovanni Gentile (1871-1944), ai quali, per capire la
tradizione culturale alla quale appartiene Romano, bisogna almeno aggiungere
Francesco Mazziota (1859-1927), Pietro Mignosi (1895- 1937), Michele Federico
Sciacca (1908-1975), Julius Evola (1899-1974), Carmelo Ottaviano (1906-1980),
Giuseppe Tricoli (1932-1995), tutti studiosi ricordati tra i molti altri
nell’utile volume dello stesso Romano Antimoderni
e critici della modernità (2012).
Di fatto Romano si può considerare il più lucido e
intellettualmente più interessante rappresentante di questo significativo
filone della cultura siciliana. Da qui il suo giudizio sul nulla della
condizione culturale del presente in modo severo da lui stesso espresso: “Perso
il timor di Dio” l’uomo contemporaneo non vuole neppure - prometeicamente -
farsi Dio, ma annullarsi nell’insignificanza, annegare nel non-senso, nell’ovvio,
verso una sorta di trasformazione antropologica”. Aggiungo io purtroppo in
negativo.
Un ritratto, se non esaustivo certamente fedele, della
identità intellettuale di Romano, non facile da sintetizzare, stante la sua
“cosmicità”, si può estrarre da quanto egli dice, quasi autobiograficamente, di
Vincenzo Mortillaro nel volume Contro
la rivoluzione la fedeltà. È forse l’opera migliore da lui
scritta, né può ritenersi un caso: “Letterato e poeta, fondatore, direttore,
animatore prima e dopo il’60 di riviste e giornali e molteplici responsabilità
amministrative... critico acerrimo dei nuovi rivoluzionari del 1860, della
conquista garibaldina e del Nuovo Regno d’Italia di marca piemontese liberale
e coloniale, fu costantemente ammirato, deriso e invidiato per il suo rigore e
la sua visione del mondo e della sua storia”.
Mortillaro era un cultore del passato. Aristotele ha scritto
che la memoria è negata agli schiavi. Apprezzo Romano soprattutto perché in
quanto cultore del passato vuole restituirci la memoria che il presente ci
nega. Il fine ultimo del suo impegno culturale vuole essere liberatorio per
tutti. Il mondo che ci fa sognare è infatti un mondo senza schiavi. D’altra
parte intorno al significato culturale del sentimento della tradizione, un dato
non è stato mai considerato. I cosiddetti tradizionalisti, di solito
aggettivati come passatisti pensano sempre il futuro con l’occhio rivolto al
passato. Deve pur aver un senso sul quale riflettere il fatto che i comunisti
autoritenutisi rivoluzionari, quando si chiede loro di esemplificare la società
che sognano, finiscono in genere con ricordare il vero o supposto comuniSmo
delle prime comunità cristiane.
Non si può non registrare a fronte di tutto questo il fatto
che nessuno riesce a pensare alla storia al di fuori della storia. I più lo
fanno senza averne consapevolezza. Romano al contrario ne ha piena coscienza
ed è questo il tratto più significativo della sua identità culturale. Anche per
la sua ricchezza umana oltre che intellettuale mi pare pertanto giusto
concludere questo rapido suo profilo con l’interrogativo del poeta siracusano
Ibn Hamdis (1056-1193), morto in esilio a Maiorca: “Cesserà il tempo di
offendere l’uomo colto, finirà lo screditare l’uomo di merito?” Volendo rendere
merito a questo fatto per la cultura siciliana da Tommaso Romano, rispondo al
poeta che credo di si. Penso infatti con Paolo che la fede è certezza delle
cose sperate. Spero che i Siciliani un giorno riconosceranno, come ha fatto meritoriamente
Vito Mauro, il valore della figura morale e intellettuale di Tommaso Romano.
Anche a voler mettere da parte tutto, basterebbe pensare al ruolo che nella
nostra cultura hanno avuto le Edizioni Thule. È questa la speranza che non
voglio da dissennato dismettere, per non perdere la certezza che la Sicilia ha
ancora dei veri intellettuali.
ANTONINO BUTTITTA
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