di Antonio Martorana
Discioglie l’ineffabile fuoco dell’anima
nel tremolio dell’etere brillante
in nero inchiostro
delle tue parole
di Mistero Ultramondano intrise
e al silente oblio le
sottrae
d’un freddo sarcofago
di carta.
Sugli atrofici flabelli di palma
del fall-out radioattivo contaminati
della società globalizzata
riverbera l’incandescente magma
un profetico raggio di speranza.
Nell’inverare di Paolino l’aureo
messaggio che “unica arte è la Fede
e Cristo il nostro canto”,all’appello
rispondi ch’agli artisti lanciò Wojtyla
per la Pasqua millenovecentonovantanove
perché la Bellezza ha qualità
da Dio inscindibile sia innalzata.
Da sempre dalla specola attratto
sulla Gerusalemme celeste puntata
a quel magistero sublime la poiesis
informi, Trascendenza e Bellezza
in circulata melodia fondendo.
Quando all’irrompente mare dell’Oltranza
la conchiglia apri del tuo cuore
più non vedi arrestarsi il tempo
nei fotogrammi di Caino in tuta
mimetica e anfibi mentre con lama
affilata sgozza Abele, di vermiglio
colorando il bagnasciuga, dell’ordigno
di morte da mano scellerata
sul cuscino poggiato come un fiore
a lambire il rosa delle guance
d’ignaro lattante addormentato,
del vandalo invasato che la mazza
nel nome di Allah brandendo
alle schegge polverose con spezzo
irride di metope e narteci,
di mani come artigli protesi tra le onde
ad invocar salvezza e amore
prima di ritrarsi e scomparire
sotto ghirigori di spuma salata.
E non t’assale dei juke-box l’onda
ultrasonica, della sferragliante
betoniera il rombo, dei clacson
impazziti il frastuono bestiale
che il sibilo copre delle sirene
nell’ora del coprifuoco. Hai recettori
olfattivi gli odori acri non arrivano
di vomito da overdose e spermatiche
secrezioni, che delle feritoie fuoriescono
degli svettanti minareti fallici
della Grande Conurbazione.
L’amaro destino consideri di chi,
al Maligno asservito come serpe
dal nibbio stregata, di giocare
a luci spente con la morte non s’avvede.
Al calar dell’ultimo granello di sabbia
nel collo stretto della clessidra infame,
Superiore Gnome ad ingrossar l’avvia
d’ignudi corpi l’innumere teoria
che nel fango della Palude Archerusia
a pagar dazio son chiamati,
l’obolo in cima al braccio agitando
tra pollice e indice stretto
l’ira a smussar provano del severo nocchiero.
Tu che con lo spirto nel “miro gurge”
della Trinacria Grazia profondi,
nell’altra faccia ti specchi del destino,
contro i cui orli ogni paura si frange ,
ogni fantasma, ogni sogno che strema.
Con il respiro di Chi all’Amore
la propria morte offrire volle in dono
il fiato fondi, mentre di gioia un grido
dal tuo petto possente si leva
verso l’empirea luce e lo sciamare d’angeli;
come quello, duplice, che levò Francesco,
ricevuta sulla Verna le sante stimmate:
“Tu sei Bellezza... Tu
sei Bellezza!”
Palermo, 8 maggio 2015
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