di Lino Di Stefano
La studiosa Maria Patrizia Allotta aveva già dimostrato, alcuni anni fa - intervistando Tommaso Romano - di conoscere, a menadito, le coordinate del pensiero del poeta, scrittore, storico, uomo di cultura ed editore di Palermo; segnatamente i capisaldi della sua dottrina filosofica designata, con indovinata espressione, ‘mosaicosmo’: mosai/co/smo, per evidenziare la felice immagine. Esso, infatti, scaturisce dalla coincidenza del mosaico con la vita che l’uomo articola nel più profondo del suo ‘io’.
Neologismo, coniato proprio da Romano, volto a caratterizzare una nuova prospettiva abbracciante una serie di discipline che vanno dal problema conoscitivo alla scienza dell’uomo, dalla mitologia alla teologia, dall’etica al diritto non esclusa, ovviamente, l’estetica quale dottrina della conoscenza sensibile e, quindi, della bellezza.
Ora, stabilito che il titolare di tale visione del mondo non ha bisogno, come si dice, di presentazioni, aggiungiamo soltanto che egli ha percorso un lungo ‘iter’ meditativo prima di approdare al citato sistema dato che quest’ultimo prima di maturare ha bisogno di un retroterra culturale fatto di studi e di opere che in Romano sono innumerevoli ove si consideri che egli ha redatto saggi storici, liriche e libri di varia letteratura, non esclusa quella relativa alla sua regione e alla sua città.
Al riguardo, ricordiamo alcune opere - le più recenti - solo per dare l’idea dell’impegno di un uomo che ha fatto della cultura il suo ideale di vita in un mondo, in particolare quello odierno, quasi totalmente scevro di valori ed esente da ideali che insieme rendono la vita degna di essere vissuta. Tra gli ultimi lavori del nostro Autore ricordiamo ‘Finestra sul Cassaro (2996), ‘Pellegrino al pellegrino’ (1998), ‘Torre dell’Ammiraglio’ (2002), ‘Il fare della bellezza’ (2006), ‘Scolpire il vento’ (2007), ‘La colonna e il mare’ (2009), ‘l’Anima della Tradizione’ (2010), ‘Sicilia 1860-1870’ (2012) e il recentissimo ‘Il sismografo e la cometa’ (20149.
In quest’ultimo, egli afferma nella ‘Premessa’ che “Cometa è una augurale stella, nota e cara, che ci auguriamo possa preservarci e indicare un nuovo cammino di salvezza per tutti”. E veniamo, adesso, al piccolo, ma denso studio – ‘Nel buio aspettando l’alba speranza che non muore’ (Limina Mentis Editore’, Villasanta (Monza), 2015) – curato da Maria Patrizia Allotta la quale si è cimentata in un’impresa non agevole visto e considerato, come riconosce, che esaminare un autore, nella fattispecie Romano, “è compito delicato e difficile”.
Per il semplice motivo, precisiamo, che il ‘mosaicosmo’ si prospetta come una vera e propria dottrina teologico-speculativa reggentesi su due princìpi fondamentali e vale a dire che l’Essere cosmico (Dio) ha creato dall’increato e che l’uomo dispone di una scintilla dell’eterno tesa, quest’ultima, a sconfessare la scienza concepita nelle forme peggiorative dello scientismo.
Da qui, la considerazione dell’Autrice secondo la quale, precipuamente nelle vesti di poeta, l’investigazione di Romano è dettata “da un’anima inquieta ed inquietante, smaniosa e trepidante, nostalgica ma rilucente che si esprime” con compiutezza fin dagli esordi caratterizzati da una concezione crudele della realtà. Mosaico di schegge, il mondo di Romano, dunque, snodantesi lungo un itinerario tormentato, ognora da scoprire onde decifrare il senso della vita.
Tant’ è vero che Romano così si esprime: “Riportare attraverso il frammento, il verso, l’opera, la semplice ‘Parola’ quotidiana – intimamente compagna del grande silenzio necessario – è sempre meditata testimonianza del sé e dell’irripetibilità assoluta dell’esistere”. Ribadito che il pensiero umano si palesa come un intarsio, l’Autrice rileva che Romano sostiene non solo che Dio è il vero Maestro, ma afferma pure che è meglio vivere la sacralità ad onta della presenza del male nell’universo. Ecco la ragione dell’insistenza sul termine ‘Parola’; pregna, quest’ultima, di “valore fondante che non può essere disperso, soprattutto quando si tratta non dell’atto comunicativo in quanto tale, ma, piuttosto, dell’esperienza forte di un linguaggio che è Verità”. Essa, insiste l’Autrice, va vissuta come “epifania dl sacro” per il semplice motivo che rimane eterna sebbene venga spesso insultata, vilipesa e vituperata.
Da ciò, derivano la valenza e la funzione della poesia come urgenza metafisica atta ad individuare la possibile salvezza in una realtà creata sì ‘ex nihilo’ da Dio, ma ricca, altresì, di galassie, di pianeti e di accordi armoniosi attestanti, appunto, il miracolo dell’universo.
Proseguendo nell’esegetica del sistema di pensiero di Romano, l’Autrice spigola dal suo Maestro, senza ambagi, da una parte, che “il Seme di tutti semi è l’Origine, il Punto che si irradia e riproduce la vita, qui nel Cosmo” e sostiene, dall’altra, che “ogni contingente scaturisce dall’Origine”.
Quest’ultimo, “crea l’Inizio, successivamente, l’Inizio crea gli enti, gli enti divengono. Dal caos al Kòsmos”. E qui, ci sembra veramente di assistere alla produzione del creato dal nulla da parte di Dio sia perché nessuno possiede i riscontri scientifici dell’Inizio sia, ancora, perché è proprio il ‘darvinismo’ il responsabile della teoria secondo cui l’evoluzione di tutti gli esseri si attuerebbe sul principio della soluzione naturale.
Tra i due estremi ‘Origine’ e il ‘Cosmo’, si colloca l’uomo “sinonimo di libertà e indipendenza, la quale, appunto, esclude ogni rischio di predeterminismo, fatalismo o mera ripetizione monotona e meccanica”. In tale contesto, la vita dell’uomo va concepita come una scheggia, come una briciola, cioè, nella grande tela del reale entro i cui confini ogni essere esercita la sua imprescindibile funzione.
Ma il saggio e mosaico della nostra Autrice nei testi romaniani non si limita a discutere sulla sua prospettiva meditativa, ma, nella sua densità, affronta, inoltre, altre questioni speculative come, ad esempio, ‘l’etica in tempo di crisi’ incentrata sul ‘senso’ nell’accezione di ‘Senso’ che ciascun uomo assegna alla sua condotta di vita visto, essa chiarisce, che “c’è sempre un motivo valido per dare ‘senso’ alla nostra esistenza”.
Non solo, ma si prende di petto pure l’argomento della ‘pedagogia come formazione dell’uomo integrale’, tenuto conto che, da un lato, “la vera educazione si realizza come pratica di libertà e, dall’altro, che la scuola resta sede di cultura col maestro nelle vesti di ispiratore dell’allievo indirizzato all’apprezzamento del bello e del sapere in genere.
Premesso che la scuola di oggi non educa perché è ridotta, ormai, ad una fucina di ignoranza e di demagogia, ci si accomiata dal lettore con una breve considerazione sul concetto di ‘estetica come etica’, nel significato che nel momento in cui si sottostima la bellezza, si sminuisce, contemporaneamente, anche il bene. E, in merito, ha ragione Platone quando fa collimare ‘bello’, ‘bene’ e ‘vero’ quale compiuta sintesi della genuina realtà coincidente col mondo delle idee.
Tanti altri soni i quesiti come la crisi della famiglia – Romano la chiama, giustamente, ‘società senza padri’ – dell’essere immutabile cioè Dio, della morte di Cristo etc., con l’avvertenza fondamentale – si legge nella retrocopertina del libro – che “necessita (…) essere testimoni e profeti armati di parola, di cultura, di sentimenti, di fede e di esempi concreti”.
Occorre, prosegue il testo, “uscire dalle catacombe dell’autocompiacimento beota, dall’effimero successo, dalla pretesa di risolvere i problemi dell’uomo e del mondo con inutili frasi e soprattutto con una pratica di vita che non conosce rischi, per cui vale la pena di rischiare”.
Redatto con consapevolezza critica dei problemi sottoposti ad esame, il saggio si fa, altresì, apprezzare per la lucidità linguistica – dote molto rara oggi - con cui gli argomenti vengono affrontati, sviscerati e posti all’attenzione del lettore.
Neologismo, coniato proprio da Romano, volto a caratterizzare una nuova prospettiva abbracciante una serie di discipline che vanno dal problema conoscitivo alla scienza dell’uomo, dalla mitologia alla teologia, dall’etica al diritto non esclusa, ovviamente, l’estetica quale dottrina della conoscenza sensibile e, quindi, della bellezza.
Ora, stabilito che il titolare di tale visione del mondo non ha bisogno, come si dice, di presentazioni, aggiungiamo soltanto che egli ha percorso un lungo ‘iter’ meditativo prima di approdare al citato sistema dato che quest’ultimo prima di maturare ha bisogno di un retroterra culturale fatto di studi e di opere che in Romano sono innumerevoli ove si consideri che egli ha redatto saggi storici, liriche e libri di varia letteratura, non esclusa quella relativa alla sua regione e alla sua città.
Al riguardo, ricordiamo alcune opere - le più recenti - solo per dare l’idea dell’impegno di un uomo che ha fatto della cultura il suo ideale di vita in un mondo, in particolare quello odierno, quasi totalmente scevro di valori ed esente da ideali che insieme rendono la vita degna di essere vissuta. Tra gli ultimi lavori del nostro Autore ricordiamo ‘Finestra sul Cassaro (2996), ‘Pellegrino al pellegrino’ (1998), ‘Torre dell’Ammiraglio’ (2002), ‘Il fare della bellezza’ (2006), ‘Scolpire il vento’ (2007), ‘La colonna e il mare’ (2009), ‘l’Anima della Tradizione’ (2010), ‘Sicilia 1860-1870’ (2012) e il recentissimo ‘Il sismografo e la cometa’ (20149.
In quest’ultimo, egli afferma nella ‘Premessa’ che “Cometa è una augurale stella, nota e cara, che ci auguriamo possa preservarci e indicare un nuovo cammino di salvezza per tutti”. E veniamo, adesso, al piccolo, ma denso studio – ‘Nel buio aspettando l’alba speranza che non muore’ (Limina Mentis Editore’, Villasanta (Monza), 2015) – curato da Maria Patrizia Allotta la quale si è cimentata in un’impresa non agevole visto e considerato, come riconosce, che esaminare un autore, nella fattispecie Romano, “è compito delicato e difficile”.
Per il semplice motivo, precisiamo, che il ‘mosaicosmo’ si prospetta come una vera e propria dottrina teologico-speculativa reggentesi su due princìpi fondamentali e vale a dire che l’Essere cosmico (Dio) ha creato dall’increato e che l’uomo dispone di una scintilla dell’eterno tesa, quest’ultima, a sconfessare la scienza concepita nelle forme peggiorative dello scientismo.
Da qui, la considerazione dell’Autrice secondo la quale, precipuamente nelle vesti di poeta, l’investigazione di Romano è dettata “da un’anima inquieta ed inquietante, smaniosa e trepidante, nostalgica ma rilucente che si esprime” con compiutezza fin dagli esordi caratterizzati da una concezione crudele della realtà. Mosaico di schegge, il mondo di Romano, dunque, snodantesi lungo un itinerario tormentato, ognora da scoprire onde decifrare il senso della vita.
Tant’ è vero che Romano così si esprime: “Riportare attraverso il frammento, il verso, l’opera, la semplice ‘Parola’ quotidiana – intimamente compagna del grande silenzio necessario – è sempre meditata testimonianza del sé e dell’irripetibilità assoluta dell’esistere”. Ribadito che il pensiero umano si palesa come un intarsio, l’Autrice rileva che Romano sostiene non solo che Dio è il vero Maestro, ma afferma pure che è meglio vivere la sacralità ad onta della presenza del male nell’universo. Ecco la ragione dell’insistenza sul termine ‘Parola’; pregna, quest’ultima, di “valore fondante che non può essere disperso, soprattutto quando si tratta non dell’atto comunicativo in quanto tale, ma, piuttosto, dell’esperienza forte di un linguaggio che è Verità”. Essa, insiste l’Autrice, va vissuta come “epifania dl sacro” per il semplice motivo che rimane eterna sebbene venga spesso insultata, vilipesa e vituperata.
Da ciò, derivano la valenza e la funzione della poesia come urgenza metafisica atta ad individuare la possibile salvezza in una realtà creata sì ‘ex nihilo’ da Dio, ma ricca, altresì, di galassie, di pianeti e di accordi armoniosi attestanti, appunto, il miracolo dell’universo.
Proseguendo nell’esegetica del sistema di pensiero di Romano, l’Autrice spigola dal suo Maestro, senza ambagi, da una parte, che “il Seme di tutti semi è l’Origine, il Punto che si irradia e riproduce la vita, qui nel Cosmo” e sostiene, dall’altra, che “ogni contingente scaturisce dall’Origine”.
Quest’ultimo, “crea l’Inizio, successivamente, l’Inizio crea gli enti, gli enti divengono. Dal caos al Kòsmos”. E qui, ci sembra veramente di assistere alla produzione del creato dal nulla da parte di Dio sia perché nessuno possiede i riscontri scientifici dell’Inizio sia, ancora, perché è proprio il ‘darvinismo’ il responsabile della teoria secondo cui l’evoluzione di tutti gli esseri si attuerebbe sul principio della soluzione naturale.
Tra i due estremi ‘Origine’ e il ‘Cosmo’, si colloca l’uomo “sinonimo di libertà e indipendenza, la quale, appunto, esclude ogni rischio di predeterminismo, fatalismo o mera ripetizione monotona e meccanica”. In tale contesto, la vita dell’uomo va concepita come una scheggia, come una briciola, cioè, nella grande tela del reale entro i cui confini ogni essere esercita la sua imprescindibile funzione.
Ma il saggio e mosaico della nostra Autrice nei testi romaniani non si limita a discutere sulla sua prospettiva meditativa, ma, nella sua densità, affronta, inoltre, altre questioni speculative come, ad esempio, ‘l’etica in tempo di crisi’ incentrata sul ‘senso’ nell’accezione di ‘Senso’ che ciascun uomo assegna alla sua condotta di vita visto, essa chiarisce, che “c’è sempre un motivo valido per dare ‘senso’ alla nostra esistenza”.
Non solo, ma si prende di petto pure l’argomento della ‘pedagogia come formazione dell’uomo integrale’, tenuto conto che, da un lato, “la vera educazione si realizza come pratica di libertà e, dall’altro, che la scuola resta sede di cultura col maestro nelle vesti di ispiratore dell’allievo indirizzato all’apprezzamento del bello e del sapere in genere.
Premesso che la scuola di oggi non educa perché è ridotta, ormai, ad una fucina di ignoranza e di demagogia, ci si accomiata dal lettore con una breve considerazione sul concetto di ‘estetica come etica’, nel significato che nel momento in cui si sottostima la bellezza, si sminuisce, contemporaneamente, anche il bene. E, in merito, ha ragione Platone quando fa collimare ‘bello’, ‘bene’ e ‘vero’ quale compiuta sintesi della genuina realtà coincidente col mondo delle idee.
Tanti altri soni i quesiti come la crisi della famiglia – Romano la chiama, giustamente, ‘società senza padri’ – dell’essere immutabile cioè Dio, della morte di Cristo etc., con l’avvertenza fondamentale – si legge nella retrocopertina del libro – che “necessita (…) essere testimoni e profeti armati di parola, di cultura, di sentimenti, di fede e di esempi concreti”.
Occorre, prosegue il testo, “uscire dalle catacombe dell’autocompiacimento beota, dall’effimero successo, dalla pretesa di risolvere i problemi dell’uomo e del mondo con inutili frasi e soprattutto con una pratica di vita che non conosce rischi, per cui vale la pena di rischiare”.
Redatto con consapevolezza critica dei problemi sottoposti ad esame, il saggio si fa, altresì, apprezzare per la lucidità linguistica – dote molto rara oggi - con cui gli argomenti vengono affrontati, sviscerati e posti all’attenzione del lettore.
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